Nell’autunno del 2014, approfittando della ricorrenza del centenario dello scoppio della Prima guerra mondiale, essendomi trasferito da pochi giorni in Belgio avevo deciso, un po’ per caso, di visitare uno dei luoghi simbolo di quel conflitto. Mentre arrancavo sotto la pioggia seguendo un sentiero fangoso che fiancheggiava uno scuro ruscello tra i campi, a pochi chilometri dalla città fiamminga di Ypres, scorsi un piccolo oggetto di colore rossastro e dalla forma vagamente triangolare. A prima vista poteva passare per una pietra ma, osservandolo meglio, mi accorsi che chiaramente si trattava di qualcosa d'altro. Per quanto non fosse più lungo della mia mano, era estremamente pesante. Sembrava quasi soggetto ad una sorta di forza di gravità diversa, più intensa. Una scheggia di bomba probabilmente, il cui metallo, ormai ossidato, aveva assunto una bella colorazione tra il mogano e il marrone scuro. La misi nello zaino avvolgendola con cura in una borsa di plastica. Poco oltre, legata ad un albero con uno spago, trovai una piccola fotografia. Era stata stampata su carta comune e nonostante fosse stata plastificata, la pioggia l'aveva quasi completamente cancellata. Mostrava il volto d'un uomo in uniforme. A qualche metro su un foglio di carta, anch’esso inserito in una busta di plastica e legato ad un albero stava scritto: « Pte (Private) John William Ogley 21 years old Strani frammenti di memoria incrostati nel territorio. Chi era quell'uomo, la cui fotografia lenta sbiadiva nel bosco? Era il soldato John William Ogley scomparso a ventun anni nella notte tra il 21 e il 22 aprile del 1916? Chissà chi aveva deposto la sua foto ai piedi di un albero in un piccolo bosco fiammingo. Ricordo che una strana sensazione mi avvolse mentre il vento ululava selvaggio , intonando una canzone che mi parve assai lugubre. I miei piedi scivolavano sul suolo fradicio d'acqua. Poco lontano il sentiero si inoltrava nell’ombra. Lo imboccai senza sapere quanto lontano avrebbe finito per trascinarmi. Cent’anni prima le potenze europee avevano dato il via a quel conflitto che, anche se nessuno sembrava davvero volere, tutti erano convinti di poter vincere in pochissimo tempo. E che si trasformò in uno spaventoso, interminabile e sanguinoso disastro.
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Cinque furono le principali battaglie che si svolsero lungo il Saliente. Scontri che duravano a volte anche diversi mesi. A questi si devono aggiungere la quasi ininterrotta sequela di attacchi e contrattacchi quotidiana. Il fronte oscillava continuamente, come sotto la spinta di profonde correnti sismiche. Allargandosi e restringendosi, inquieto e sfuggente. Il tributo di sangue – inutilmente – versato per la conquista di pochi metri quadrati di terra fangosa fa rabbrividire. Le cifre sono confuse ma alcuni storici parlano di quasi un milione di morti. A cui si devono aggiungere i feriti gravi: uomini sfigurati dalle schegge, resi sordi dai boati dei bombardamenti, con i polmoni devastati dai gas. Quasi tutti i sopravvissuti dovettero poi fare i conti con le ferite che la guerra aveva inflitto alla loro anima. L’orrore che avevano vissuto li avrebbe perseguitati per sempre, in diversi casi sprofondandoli in uno scuro abisso di follia. Come un buco nero, il Saliente aveva attratto verso di se le vite di una intera generazione di giovani europei. Plasmandone la storia e forgiandone in alcuni casi il carattere e la personalità. Ernst Jünger e L.F. Cèline, Robert Graves e E. M. Remarque, Hitler e Churchill – per citarne alcuni - si troveranno (anche se a volte in momenti differenti) a condividere l’esperienza comune di quel disastro. Gli eventi che qui ebbero luogo, la Storia con la S maiuscola e le vicende personali delle migliaia e migliaia di uomini che affrontarono le battaglie del Saliente, contribuirono in maniera fondamentale a creare quella che diventerà l'immagine e la memoria della Prima Guerra Mondiale. Da quella catastrofe l’Europa e il mondo usciranno trasformati per sempre. Cosa rimaneva di quegli avvenimenti, tragici eppure determinanti per la Storia mondiale? Il mondo in cui viviamo ora, nel bene e nel male, è stato plasmato da quelle vicende. Da quelle battaglie, da quelle morti e da tutti i pensieri, le memorie e le conseguenze che ne erano poi scaturite. I singoli eventi, gli episodi, i fatti apparentemente isolati si erano coagulati, trasformati ed evoluti. Così come il paesaggio fisico, ad un tempo diverso ma anche profondamente in connessione con quello del tempo di guerra, in senso più largo anche il paesaggio e l'intera storia dell'Europa e degli europei moderni, si allacciano strettamente a quell'epoca e a quelle circostanze. Il conflitto agì anche come un laboratorio sociologico, trasformando il mondo in maniera sostanziale e duratura. Più di ogni altro avvenimento della modernità, quella “Grande Guerra” determinò una spaccatura così profonda da mettere fine ad un'epoca e darne inizio ad una radicalmente nuova. |
Percorrendo oggi quella regione l’orrore della Prima guerra mondiale sembra lontano e inimmaginabile. Lo sguardo spazia su vaste distese di pascoli e campi coltivati, piccoli boschi, torrenti incassati, villaggi sparsi e silenziosi. Poi, più lontano, basse colline arrotondate si srotolano in una curva aggraziata, prima di sciogliersi nella grande pianura fiamminga. Il territorio del Saliente rappresenta una sorta di ibrido paesaggistico. Se volessimo utilizzare le categorie ideate da Marc Augé può essere definito in maniera paradossale come un “luogo-non luogo”. Nel suo saggio, Augé definisce i “non luoghi” della modernità come quelli caratterizzati dalla “mancanza”. Luoghi che NON sono : senza identità, senza relazioni umane e senza storia, contrapponendo questi spazi, tipici del mondo moderno, con quelli che chiama “luoghi antropologici”, che dunque possiedono almeno una delle qualità citate. Secondo questa teoria, e volendo semplificare, Ypres e il Saliente, sono chiaramente dei luoghi. Pochi posti al mondo sono più ricchi di storia, relazioni e identità. Eppure stranamente si potrebbe anche affermare l'esatto contrario. La complessità delle relazioni, la sublimazione della storia e lo strano rapporto identitario che si era venuto a creare tra l'antico campo di battaglia e l'uomo moderno, rende una possibile lettura e classificazione del Saliente, molto complessa. Il fatto che il turismo di massa abbia eletto il Saliente come una delle località prescelte per i suoi riti collettivi ne è un esempio lampante. E non è l'unico. Il profondo ma complicato legame tra uomo e paesaggio si declina attorno al Saliente in maniera particolare, confondendo da sempre sacro e profano, storia e turismo, antico e moderno. Il Saliente é ormai museo e parco di divertimenti, attrazione turistica e luogo di memoria, lutto e raccoglimento. Nuovi monumenti e memoriali continuano a sorgere e il flusso turistico è (o era, almeno fino all’inizio della pandemia) in costante aumento. Un’infinità di storie ha finito per incrostarsi nel paesaggio, tracciando percorsi immaginifici attraverso il territorio reale. I segni si moltiplicano, i sentieri si biforcano. Le piste del bestiame s'intrecciano con le tracce lasciate dagli pneumatici delle biciclette da cross. I segni eleganti e colmi d'acqua impressi dagli zoccoli dei caprioli, con quelli sottili e appena accennati lasciati dalle zampe delle cornacchie. I tracciati ormai scomparsi seguiti dai soldati, con i solchi profondi dei trattori agricoli. Strato su strato, in una eterna e ciclica operazione di segno e cancellatura. Questa profusione di storie e percorsi mi hanno dato spesso l’impressione di muovermi non solo attraverso lo spazio fisico ma anche attraverso il tempo. Avvinto dalla placida malinconia del paesaggio del Saliente. Dal suo aspetto in apparenza ordinario che nasconde in realtà, una molteplicità di sfaccettature, di paesaggi interiori.
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Come esplorare un simile territorio? Durante i quattro anni del centenario della guerra, ho percorso più di mille chilometri camminando ed esplorando i – relativamente - pochi chilometri quadrati occupati un tempo dal campo di battaglia. Sperando anche segretamente che la fatica e gli inconvenienti di un viaggio a piedi potessero essere offerti per ottenere in cambio conoscenza, risposte, comprensione e meraviglia. Infine ero (e resto) convinto che camminare e ricordare siano due attività profondamente correlate. |